Esiste una significativa varietà di pellicole, ciascuna adatta per particolari condizioni o situazioni. Le pellicole fotografiche sono definite come materiali sensibili alla luce montati su un supporto che viene tagliato e confezionato in rulli o fogli nelle dimensioni standard, per essere utilizzato con ogni tipo di macchina fotografica. Le pellicole fotografiche esistono nelle versioni per riprese in bianco e nero oppure a colori, e la loro utilizzazione si adegua a una grande varietà di situazioni, molte delle quali sono conosciute solo superficialmente.

Una delle tre principali varianti nell’esposizione fotografica (e le altre riguardano l’apertura del diaframma dell’obiettivo e il tempo di otturazione) si basa sulla sensibilità della pellicola usata, ovvero sul suo grado di risposta a una data quantità di luce.

Le pellicole fotografiche sono generalmente suddivise in tre gruppi, distinti in fasce di sensibilità.

Si esordisce alla bassa sensibilità (fino a 100 Iso circa), si passa quindi alla media sensibilità (fino a 200 Iso circa), e si approda all’alta sensibilità (dei 400 Iso, 1000 Iso e 1600 Iso) che attualmente rappresentano la sensibilità fotografica limite per il materiale fotografico tradizionale; ci sono quindi emulsioni a sviluppo immediato da 3000 Iso e anche da 20.000 Iso, propri di un’applicazione speciale della ripresa fotografica.

La sigla Iso, che andrebbe scritta tutta maiuscola (ma più spesso appare nella sua grafia maiuscolo-minuscolo), rappresenta la più recente standardizzazione dell’indicazione, ovvero della misurazione, della sensibilità della pellicola.

Nel tempo, e a tempi sempre più brevi, la definizione Iso, i cui valori nella sostanza corrispondono a quelli della scala Asa, è destinata a sostituire ogni altro codice identificatorio.

Anche se la sensibilità Iso è semplificata al suo valore coincidente con gli Asa, precisiamo ancora che la sua denominazione ufficiale comprende pure il valore Din.

Così la media sensibilità andrebbe espressa come 100/21 Iso (che corrisponde a 100 Asa/21 Din), ma l’uso comune semplifica in 100 Iso.

Oltre i fatti formali rimane un’aspetto sostanziale, non già visibile nell’espressione numerica: la definizione Iso, rispetto le quantificazioni Asa e Din, è pure qualificata da rinnovati valori di tolleranza, assai più ristretti di quelli che furono invece propri dell’Asa.

Così, lo slittamento all’espressione Iso della sensibilità della pellicola fotografica non rappresenta solo un momento formale, quanto un punto sostanziale.

Grana è il termine usato per descrivere e identificare il raggruppamento casuale visivo dei grani d’argento che creano l’immagine nel negativo fotografico.

Singolarmente i grani sono troppo minuscoli per poter essere visti in qualsiasi utilizzazione fotografica, quindi il termine è il risultato leggermente improprio di un particolare gergo verbale.

Generalmente, la grana è legata alla sensibilità della pellicola in un compromesso tipico della fotografia.

In parole povere, le pellicole più sensibili hanno una struttura della grana più evidente, mentre nelle pellicole meno sensibili questa struttura è proporzionalmente più fine, restando uguali le altre condizioni.

Quando è importante una resa assolutamente naturale del soggetto fotografico, si consiglia di scegliere e usare un’emulsione fotografica qualificata da una grana fine.

Quando invece sono più importanti le azioni e la dinamicità del soggetto, e non già il dettaglio dei suoi termini fotografici, e quando è disponibile una scarsa quantità di luce, l’effetto grana può anche essere tollerato, a qualsiasi suo grado, come assolutamente necessario.

Occorre quindi ricordare come la grana sia insita nella struttura dell’immagine fotografica, senza far dunque parte del soggetto in se stesso.

Per questo, la maggioranza dei fotografi tentano di evitare, o per lo meno minimizzare, la grana visibile nelle fotografie.

La struttura della grana non può essere ridotta, ma può essere incrementata trattando impropriamente (e magari volutamente) la pellicola durante l’esposizione e nelle fasi di sviluppo.

Quindi, entro certi limiti, la dimensione visibile della grana, in qualsiasi pellicola, è in qualche modo controllabile attraverso un’attenta esposizione e un accurato trattamento chimico.

Il termine contrasto descrive la scala di toni chiaroscuri presenti nel soggetto che sono registrabili dalla pellicola fotografica in corrispondenti valori tonali.

Si considerano a basso contrasto (ovvero con “estesa scala di gradazioni”) quelle pellicole che presentano un’ampia gamma tonale.

E dunque si considerano ad alto contrasto (ovvero a “breve scala di gradazioni”) quelle pellicole che sono in grado di riprodurre solo una ristretta quantità dei toni presenti in un soggetto con un’ampia gamma tonale.

Come la grana, anche il contrasto risulta collegato alla sensibilità della pellicola fotografica.

Le pellicole più sensibili tendono ad avere un basso contrasto; mentre le pellicole poco sensibili presentano un contrasto maggiore.

Spesso, la questione del contrasto non è avvertita dal fotoamatore, perché gli sviluppi e i tempi di trattamento delle pellicole, forniti dai fabbricanti, sono previsti anche per compensare, in parte, i termini negativi di quest’effetto.

Entro certi limiti, il contrasto proprio di ogni pellicola fotografica può essere alterato e modificato in base alla scelta del rivelatore, in funzione della variazione dei rapporti che intercorrono tra esposizione e trattamento di sviluppo, nonché intervenendo sulla temperatura del rivelatore.

E’ la differenza fra la minima quantità di luce che la pellicola riesce a rilevare e la minima quantità di luce sufficiente ad impressionare del tutto la pellicola.

In altre parole è la capacità della pellicola di registrare un certo contrasto, la cui ampiezza si misura in “stop”.

Maggiore è la L.d.P. e più il contrasto del soggetto sarà “contenuto” (compresso) nell’emulsione, minore è la L.d.P. e maggiore sarà il contrasto riprodotto in foto, con maggiori rischi di perdita di dettaglio nelle ombre e nelle alte luci.

La L.d.P. aumenta, a parità di altre caratteristiche, all’aumentare della sensibilità.

NEGATIVA A COLORI
La pellicola è composta da tre strati di emulsione sovrapposti ( quelle attuali ne hanno anche di più), ognuno dei quali è sensibile a luci diverse. Da un negativo a colori si possono ottenere anche stampe in bianco e nero.

NEGATIVA IN BIANCO E NERO
L’immagine che appare sulla pellicola si presenta con toni invertiti. Le aree scure diventeranno bianche sulla stampa e viceversa.

PELLICOLA INVERTIBILE (DIAPOSITIVA)
Già sulla pellicola appare l’immagine reale. La visione si ha per trasparenza o per proiezione. Con le diapositive non si possono correggere errori di esposizione, come invece è possibile con le pellicole negative.

PELLICOLA ALL’INFRAROSSO
La sensibilità della pellicola registra anche bande spettrali dell’infrarosso. Abbisogna di attenzioni particolari sia in fase di ripresa che di stampa.

PELLICOLA DAY-LIGHT
Si usa con la luce del sole o con il flash. Se esposta con la luce artificiale produce immagini più o meno gialle.

PELLICOLA AL TUNGSTENO
Si usa con la luce artificiale. Se esposta con luce del sole produce immagini con dominante blu.

Misurazione della sensibilità

Fino agli anni ’60 i sistemi di indicazione della sensibilità erano molti, ma a partire da quel periodo abbiamo avuto una sorta di uniformazione sotto alcuni indici ben precisi:

ASA – American Standards Association
E’ una scala di tipo aritmetico (il raddoppiare del numero indicato equivale al raddoppiare della sensibilità della pellicola

DIN – Deutsche Industrie Norm
E’ una scala logaritmica indicata da un numero affiancato dal simbolo ” ° “. Tale numero ha incrementi di 3 unità per ogni raddoppio di sensibilità.

ISO – International Standards Organization
Una sorta di unificazione delle altre due, riprodotta attraverso l’indicazione di ASA e DIN separate da una barra ( / ).

Esempio: 
una pellicola da 100 ASA corrisponde a 21° DIN; tradotto nello standard ISO: 100/21°. A questo punto è facile comprendere che una pellicola da 24° DIN avrà una sensibilità doppia rispetto a quella da 21° DIN, poichè corrisponde a 200 ASA.

Il codice DX

Questo codice, univoco per ogni tipo di pellicola, trasmette alla fotocamera in grado di rilevarlo tre informazioni fondamentali: sensibilità della pellicola, sua latitudine di posa e numero di fotogrammi del rullino in uso.

La trasmissione dei dati avviene tramite il codice “a settori” riportato sul lato posteriore dei rullini, dove alcuni settori metallici sono conduttivi, e i settori verniciati in nero sono isolanti.

Formati pellicola

Piccolo formato (110/126/135/APS)
Il più utilizzato, da amatori e professionisti, è il 35 mm, misura che individua la larghezza della pellicola (compresa la perforatura). In realtà questa pellicola non nacque per la fotografia, ma per il cinema. E’ per questo scopo che essa fu dotata di forellini, infatti questi servivano per poter agganciare la pellicola agli ingranaggi del meccanismo di trascinamento. I fotogrammi avevano una dimensione di 18 mm x 24 mm. In seguito, qualcuno decise di inventare una macchina fotografica che potesse utilizzare la stessa pellicola del cinema, ma, al fine di ottenere immagini con una migliore definizione dei particolari, la progettò in modo che i fotogrammi fossero grandi il doppio rispetto a quelli del cinema, cioè 24 mm x 36 mm. Il suo nome in codice è 135, il formato del fotogramma è di 24×36 mm. Si trova in caricatori a rullo da 12, 24, 36 ed anche 27 pose, oppure in rulli da 30 metri per chi si confeziona i caricatori da solo. Viene utilizzato sulle comuni macchine, sia compatte che reflex. Sempre nei piccoli formati, l’ultimo nato é l’ IX 240 (APS), con una superficie più piccola rispetto al 35mm, lo si può trovare in rulli da 25 o 40 pose.

Medio formato (120/220)
Pellicola in rulli larga 60 mm dalla quale vengono ricavati fotogrammi di 6×4.5, 6×6, 6×7, 6×9 cm. I rulli sono da 12 o 24 pose 6×6 (i codici sono rispettivamente 120 e 220).Naturalmente, rispetto alle pellicole dei pionieri della fotografia, il formato 135 è molto piccolo, e neanche il miglioramento della tecnologia può impedire che, con un forte ingrandimento, l’immagine finisca per sgranare e perdere la definizione dei particolari. E’ per questo che i fotografi esigenti, o i professionisti che necessitano di un’alta qualità, hanno sentito il bisogno di formati più grandi. E’ così stata inventata la pellicola detta di “medio formato”. Essa ha alcune differenze fondamentali rispetto alla 135. Innanzitutto ha un’altezza di 6 centimetri (61 mm per l’esattezza), poi non ha i forellini (il che consente una migliore utilizzazione dello spazio), infine non è contenuta in una scatola metallica, ma è semplicemente avvolta intorno ad un supporto di plastica, insieme ad un striscia di carta nera che ha la funzione di proteggerla dalla luce

Pellicole piane o grande formato
Pellicole piane (fogli singoli) per dimensioni di ca. 10×12, 13×18 e 18×24 cm. Vengono utilizzate solo su apparecchi a banco ottico. Si chiamano pellicole piane quelle che non sono avvolte, formando così un rotolino, ma che sono preparate in forma di lastre piane. In pratica ogni pellicola fornisce un solo fotogramma, a differenza dei rotolini 135 e 120 che forniscono molti fotogrammi. Queste pellicole sono usate per un genere di macchina fotografica professionale detta “banco ottico”, ed hanno dei fotogrammi di dimensioni molto grandi, per cui sono anche definite di grande formato. La qualità dell’immagine e la definizione dei particolari che si può ottenere con queste pellicole è eccezionale e adatta a lavori di alta professionalità.

Formato APS

Il formato APS (Advanced Photo System) o IX 240, é un formato tipicamente amatoriale, in quanto presenta una dimensione fotogramma di s

oli 16.7 x 30.2 mm. Offre però alcuni vantaggi; é possibile estrarre il caricatore dalla fotocamera anche quando é parzialmente esposto, per poi reinserirlo successivamente e continuare a fotografare dal fotogramma in cui era stato estratto; la pellicola esposta rimane all’interno del caricatore; é possibile esporre in tre formati differenti; é possibile inserire alcuni dati, che verranno poi stampati dal laboratorio sul retro della fotografia; é possibile inserire alcuni dati che verranno poi sovraimpressi direttamente sul fotogramma; é possibile impostare il numero di stampe da eseguire di ogni singolo fotogramma; il film IX240 presenta una speciale traccia su cui vengono registrate informazioni di esposizione, in modo da rendere possibile una manipolazione da parte del laboratorio di sviluppo, di ogni singolo fotogramma.

Glossario pellicole

ACUTANZA
E’ la misura fisica del gradiente al bordo fra due microzone a diversa densità, e corrisponde adeguatamente al giudizio soggettivo della nitidezza. Il suo valore è tanto più alto quanto maggiore è la nitidezza dell’immagine.

GRANULOSITA’
E’ l’impressione visiva provocata dai grani e aglomerati d’argento. A differenza della granularità, che è una proprietà oggettiva, la granulosità è una proprietà soggettiva. La misurazione e le specifiche della granulosità non sono ancora state standardizzate, per cui bisogna avere molta cautela nel confrontare i dati di produttori diversi.

MTF
La funzione di trasferimento della modulazione (MTF dall’inglese Modulation Transfer Function) è una rappresentazione grafica della qualità dell’immagine che elimina la necessità di valutazioni da parte di un osservatore. E’ la misura della capacità di un sistema (emulsione o obiettivo) di risolvere dettagli fini. La MTF considera il rapporto tra il contrasto dell’immagine riprodotta e quello del soggetto; il risultato è il contributo sia del potere risolvente che del microcontrasto.

T-GRAIN
L’emulsione T-grain, il cui nome deriva da Tabular Grain (granulo piatto), fu scoperta nel 1982 dalla Eastman Kodak. Rispetto ad un’emulsione a grana convenzionale, i granuli T-grain, invece di essere a forma di ciottolo, sono piatti e presentano una maggiore superficie per unità di volume, il che massimizza l’assorbimento della luce incidente. Il risultato è una pellicola molto più rapida con una quantità di argento pressoché uguale e nessuna perdita nella qualità dell’immagine.

GRANULARITA’
E’ la misura oggettiva della mancanza di uniformità della densità che corrisponde al concetto soggettivo di granulosità. La determinazione della granularità parte dalla misurazione della densità effettuata con un microdensitometro su una porzione di negativo uniformemente esposta e sviluppata. Tale misurazione è chiamata granularità RMS (Root Mean Square). RMS è la deviazione standard delle variazioni di microdensità a un dato livello di densità media. Dato che c’è una buona correlazione tra la misura della granularità e la granulosità, i valori di granularità RMS vengono usati per stabilire le classificazioni di granulosità:

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